Fuga dei cervelli: solo numeri o un problema sottovalutato?
Un articolo comparso qualche giorno fa sul Sole 24 Ore, dal titolo “Giovani in fuga: via 100mila nel 2022-23, ne rientra solo un terzo”, mi offre lo spunto per riflettere su un fenomeno che sembra ormai inarrestabile: la fuga dei cervelli.
Anche nel 2024, infatti, il trend non si è arrestato, con un continuo esodo di giovani talenti che scelgono di costruire il proprio futuro altrove.
Una situazione che si somma al calo della natalità, contribuendo a delineare un quadro preoccupante per il futuro del nostro paese.
Le ripercussioni di queste due tendenze, emigrazione giovanile e denatalità, sono e saranno profonde, sia dal punto di vista economico che sociale.
L’Italia si trova di fronte a una piramide demografica quasi capovolta:
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Con un progressivo invecchiamento della popolazione che incide negativamente sulla natalità e, di conseguenza, come scrivevo su X.com già due anni fa, rende sempre più difficile invertire il trend del declino demografico:
Questo processo ha avuto inizio dopo la crisi finanziaria del 2008 e, da allora, non si è più arrestato.
Un paese che invecchia è un paese che fatica a innovare e a crescere.
La mancanza di giovani sul mercato del lavoro rallenta lo sviluppo economico, generando una crescita stagnante o del tutto asfittica.
Inoltre, nei contesti lavorativi, si assiste a una cristallizzazione delle posizioni di potere: chi ha raggiunto ruoli apicali tende a conservarli il più a lungo possibile, spesso a scapito delle nuove generazioni, che faticano a trovare spazi e opportunità di carriera.
Insomma quel che è successo negli ultimi 15 anni è stato un vero e proprio chi c’è c’è, chi non c’è si fotte arrangia.
Di fronte a questo scenario, è comprensibile che molti giovani mandino affanculo a quel paese il sistema Italia e scelgano di cercare migliori condizioni lavorative altrove.
E, per chi può permetterselo, e in una situazione del genere, sembra una decisione più che giustificata.
Ma questi giovani fanno davvero bene a lasciare l’Italia?
LAVORARE ALL’ESTERO
A leggere certi articoli di giornale sembrerebbe proprio di sì:
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Dal 2006 la presenza dei nostri connazionali all’estero è cresciuta del 97,5%, praticamente raddoppiata, arrivando a oltre 6,1 milioni di iscritti all’AIRE (l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero).
Mettiamoci anche quelli che non si iscriveranno all’AIRE per vari motivi e possiamo immaginare che catastrofe è stata.
Ovviamente la scelta di lasciare l’Italia per cercare opportunità lavorative all’estero è una decisione complessa, che va ben oltre il semplice confronto tra stipendi.
Certo, il fattore economico è spesso il primo elemento che spinge i giovani a guardare oltre i confini nazionali: in molti Paesi, gli stipendi sono più alti e il potere d’acquisto risulta maggiore, consentendo una qualità di vita superiore rispetto a quella offerta dal mercato del lavoro italiano.
Tuttavia, il trasferimento comporta anche altre valutazioni importanti come:
- il costo della vita;
- le tasse sui redditi;
- le spese per l’affitto;
- l’assicurazione sanitaria;
- le opportunità di crescita professionale.
A questi aspetti pratici si aggiungono poi considerazioni di natura personale: chi si trasferisce deve affrontare un cambiamento radicale nello stile di vita, adattarsi a una nuova cultura, costruire da zero una rete sociale e, in molti casi, superare la nostalgia di casa.
Non tutti, infatti, sono disposti a rinunciare alle proprie radici per una migliore retribuzione.
Chi ha legami profondi con la propria città, con amici e famiglia, spesso tende a rimanere, anche a costo di sacrificare ambizioni professionali o benessere economico.
Al contrario, chi non si sente valorizzato nel proprio paese o fatica a trovare prospettive di crescita, vede nel trasferimento un’opportunità di riscatto.
Per alcuni, la fuga all’estero non è solo una scelta economica, ma anche una risposta alla frustrazione di un sistema che non offre (o ne offre troppo poche) possibilità adeguate di sviluppo.
C’è chi parte per cercare stipendi migliori e chi lo fa per inseguire una mentalità più dinamica, aperta e meritocratica, dove il lavoro viene riconosciuto e valorizzato.
MATEMATICA E FUGA DEI CERVELLI
Abbiamo visto che il trasferirsi all’estero non è solo una questione economica, ma in un blog di finanza personale è importante approfondire proprio questo aspetto.
Facciamo un esempio concreto con due persone che svolgono lo stesso lavoro, ma in due Paesi diversi: Matteo in Italia e Luca nel Regno Unito.
- Matteo → stipendio: 2.000€;
- Luca → stipendio (convertito in euro): 3.500€.
Supponiamo che entrambi riescano a risparmiare il 20% del loro stipendio:
- Matteo → risparmia 400€ al mese;
- Luca → risparmia 700€ al mese.
Ora ipotizziamo che investano questi risparmi in un ETF globale: l’Invesco FTSE All-World UCITS ETF ad accumulazione (ISIN: IE000716YHJ7, ticker: FWRA).
Essendo entrambi giovani, sulla trentina, scelgono un ETF azionario con un TER basso (0,15%) e ad accumulazione, per evitare la tassazione sui dividendi.
Non si preoccupano nemmeno del fatto che l’ETF sia sbilanciato per il 60% sugli USA. Seguono la filosofia di Warren Buffett: “Never bet against America“, e sanno che gli Stati Uniti rimarranno probabilmente la potenza geopolitica dominante per diversi decenni.
Un PAC su questo ETF sembra essere una soluzione efficace per gestire i propri investimenti senza stress, permettendo di concentrarsi sul lavoro e/o sui propri hobby, senza dover seguire ogni giorno le pazzie dei mercati e notizie finanziarie spesso inutili.
Vediamo quindi una simulazione su 20 anni per confrontare la crescita del loro capitale investito:
Ho ipotizzato che l’ETF FWRA, essendo un fondo azionario puro, cresca con un tasso annuo composto (CAGR) del 6%, adottando un approccio conservativo (dato che il rendimento delle azioni è stato ben maggiore del 6% negli ultimi 15 anni).
Per il risparmio annuale di Matteo e Luca, ho considerato un incremento del 3% annuo, almeno sull’ipotesi che lo stipendio cresca per compensare l’inflazione.
I dati nella tabella mostrano in modo chiaro il vantaggio economico di Luca (che lavora in Inghilterra) rispetto a Matteo (che rimane in Italia) nel lungo periodo, grazie a un reddito più alto e a un maggiore potere di risparmio.
Facciamo qualche osservazione in più:
-
Maggiore capacità di risparmio
- Luca riesce a risparmiare ogni anno quasi il doppio rispetto a Matteo, grazie a uno stipendio iniziale più alto.
- Dopo 20 anni, Luca ha investito 240.882,48€ di risparmi, mentre Matteo ha investito “solo” 137.647,13€.
-
Accumulo di quote
- Matteo ha acquistato 11.243 quote dell’ETF, mentre Luca ne ha 19.676.
- Questo riflette il fatto che Luca può acquistare più quote ogni anno grazie ai maggiori risparmi disponibili.
-
Valore finale dell’investimento
- Matteo ha un capitale finale di €246.283,04 mentre Luca arriva a €430.995,33.
- La differenza è quasi il doppio: Luca ha accumulato circa 184.700€ in più rispetto a Matteo.
C’è da dire che il vantaggio di Luca si ridurrebbe un po’ applicando la tassazione a fine periodo ma il concetto di fondo non cambia.
Possiamo quindi dire che l’effetto della maggiore capacità di risparmio è amplificato nel lungo periodo e che la differenza tra i due diventa sempre più evidente con il passare del tempo, questo grazie alla forza dell’interesse composto.
Anche se il costo della vita all’estero può essere più alto, se gli stipendi sono proporzionalmente migliori, il vantaggio finanziario può essere significativo.
Una volta si sentiva spesso l’obiezione: “Eh, ma all’estero il costo della vita è più alto”.
Magari era anche vero, ma ho sempre avuto l’impressione che fosse più che altro una giustificazione del “sistema Italia” per scoraggiare chi anche solo voleva tentare l’avventura oltre confine.
Oggi, con la facilità di accesso alle informazioni, questa scusa regge sempre meno.
Basta guardare qualche video su YouTube di chi ha già fatto il salto e che mostra le sue entrate e uscite, o anche leggere l’intervista a Daniele Ligato (Dani & Dati) che vive felicemente in Repubblica Ceca.
I numeri parlano chiaro, il costo della vita all’estero è sicuramente più alto, ma lo è anche il tasso di risparmio.
E così, quella vecchia scusa ha lasciato spazio a un nuovo mantra: devi rimanere e “lottare per cambiare le cose”.
Certo, peccato che se sei in una posizione in cui hai ben poco potere di incidere sul sistema il rischio è solo quello di consumarsi senza risultati concreti, anzi, perdendo capitali come la tabella di prima dimostra.
Insomma, il “Devi lottare per cambiare le cose” is the new “Eh, ma all’estero il costo della vita è più alto”.
CONCLUSIONI
Un vero e proprio circolo vizioso in cui il Paese è intrappolato, difficile da spezzare.
O meglio, una soluzione esisterebbe: smettere di svalutare il lavoro e restituirgli la dignità che merita, anche dal punto di vista economico.
Lasciare il proprio paese è la scelta giusta? A mio parere, no.
Ma se altrove ci sono opportunità migliori? Se ha senso dal punto di vista finanziario allora sì.
Detto ciò, sappiamo bene che i soldi non sono tutto: ci sono molti altri fattori in gioco, alcuni perfino più importanti del vile denaro.
Alla fine la decisione di lasciare l’Italia è profondamente personale e varia in base agli obiettivi di ciascuno.
C’è chi desidera sicurezza e stabilità, chi ambisce a una crescita più rapida e chi, semplicemente, sente il bisogno di un cambiamento.
Quel che è certo è che il fenomeno della fuga dei cervelli non è solo una questione individuale, ma il segnale di un problema più ampio: l’Italia, pur avendo un enorme potenziale (almeno questa è la mia idea), paga ora le conseguenze di politiche economiche e sociali del tutto fallaci compiute in passato.
Conseguenze che si manifestano nella difficoltà di trattenere i propri talenti e di offrire loro le opportunità che meritano.
A parità di condizioni, trasferirsi ha senso solo se il guadagno reale (ossia ciò che rimane dopo aver pagato tasse e spese) giustifica il sacrificio di ricominciare da zero in un ambiente nuovo.
Per questo motivo, chi sceglie di trasferirsi deve fare un’attenta valutazione non solo sui numeri, ma anche sulla qualità della vita che avrà nel nuovo Paese.
Il presente contenuto è ai soli fini didattici e di discussione, fai le tue ricerche prima di investire (do your own research before invest).
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