Stati Uniti e geopolitica, l’impero al suo apice?
Proseguo il discorso iniziato con l’articolo cos’è la geopolitica, concentrandomi questa volta sulla potenza imperiale dei nostri giorni: gli Stati Uniti.
Anche se può sembrare un argomento distante dall’ambito strettamente finanziario, penso che per noi investitori sia importante comprendere come il mondo si muove e qual’è la direzione che ha intrapreso.
Domande come ‘Come va il mondo?’ e, soprattutto, ‘Dove sta andando?’ sono diventate centrali per chi investe, perché spesso esistono legami profondi tra ciò che accade nei mercati finanziari e i segnali che la geopolitica ci offre.
Non credo sia un caso che, analizzando la composizione di un ETF World, si scopra che quasi il 70% dell’esposizione è verso gli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti rappresentano la potenza dominante, e la finanza è uno dei principali strumenti attraverso i quali questa supremazia viene affermata.
Gli investitori, consapevoli o meno, percepiscono questo e di conseguenza scelgono di investire dove ritengono che i propri soldi siano al sicuro, o anche più facilmente liquidabili vista la completa apertura dei mercati finanziari statunitensi ai capitali esteri.
Che sia giusta o meno, questa percezione da parte degli investitori rafforza l’idea che TINA (There Is No Alternative) sia ancora una realtà.
Pensaci un attimo, che alternative avresti? In qualità di investitore estero, quindi soggetto anche al rischio cambio, preferiresti investire, per esempio, in titoli di stato cinesi o in treasuries?
Ma sviluppiamo un attimo questi concetti partendo dall’inizio.
LE DUE AMERICHE
Gli Stati Uniti stanno attraversando un periodo di profonda depressione culturale e politica, derivante dalla scoperta che il resto del mondo non desidera necessariamente “diventare americano”.
Questa rivelazione ha scosso profondamente il paese, portando molti a interrogarsi sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo: devono continuare a fare da poliziotto globale oppure ritirarsi e concentrarsi su sé stessi?
Questa crisi di identità ha generato due grandi reazioni.
Le coste degli Stati Uniti, come New York e la California, insieme agli stati adiacenti, tendono a incolpare sé stesse.
Questi stati, spesso associati a una mentalità progressista e votanti figure come Biden o Kamala Harris, riconoscono gli errori nel tentativo di imporre la democrazia con la forza e nell’assumere una superiorità morale e culturale.
Questa autoanalisi si riflette in movimenti ideologici come il “wokeismo” e nella volontà di cancellare il passato.
Dall’altra parte, l’America profonda, che comprende il Midwest e gli stati interni, ha un atteggiamento opposto.
Qui prevale la convinzione che la colpa non sia degli Stati Uniti ma del resto del mondo, percepito come ingrato e incapace di comprendere i sacrifici americani.
Questi stati, spesso associati al voto per Trump, vedono gli europei occidentali come un esempio di decadenza: invecchiati, demoralizzati, incapaci di difendersi e persi in questioni ideologiche come i generi e il cambiamento climatico.
Per fare un esempio, qui in Italia è evidente come ogni fatto di cronaca venga trasformato in polemica, politicizzato fino all’estremo, generando divisioni e radicalizzando le posizioni. Questo rende impossibile qualsiasi dialogo costruttivo e la ricerca di punti in comune, cioè il lavoro principale della politica.
Figuriamoci poi quando si tratta di temi cruciali come decidere la direzione di un intero paese.
Sembra proprio che ci siamo spinti esattamente dove Charlie Munger consigliava di non andare: “Another thing I think should be avoided is extremely intense ideology because it cabbages up one’s mind.”
Citazione che possiamo tradurre con: eviterei anche le ideologie estremamente intense, perché confondono completamente la mente. Qui potete trovare l’intervento completo.
Insomma, tornando al discorso iniziato prima, Trump incarna questa frustrazione collettiva degli Stati Uniti.
Pur non essendo originario dell’America profonda (è un newyorkese con accento estraneo al Midwest), ha saputo intercettare perfettamente (e qui sta l’abilità del politico) la rabbia e il risentimento verso un mondo che, agli occhi di molti americani, non ha rispettato il sogno di una supremazia culturale e politica statunitense.
Questa depressione americana ha avuto ripercussioni globali, soprattutto a partire dal 2022 con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
L’evento ha segnato una sfida diretta all’egemonia americana, dimostrando che esistono popoli e nazioni che non accettano le regole scritte dagli Stati Uniti.
LE DIFFICILI RELAZIONI INTERNAZIONALI
L’aumento dei conflitti negli ultimi due anni è il risultato del fatto che gli avversari degli Stati Uniti percepiscono una distrazione dovuta ai loro problemi interni.
Quale momento migliore per agire, se non quando l’attenzione del tuo principale avversario è altrove?
Molti interpretano queste tensioni come un segnale del declino americano.
Tuttavia, sono d’accordo con Dario Fabbri nel pensare che gli Stati Uniti restano il paese che se la passa meglio: nonostante i problemi e le divisioni interne, sono ancora un gradino sopra i loro concorrenti.
Pensa un attimo: la Russia è quello che è. Certo, ha le atomiche, un residuo dell’Unione Sovietica, ma economicamente non se la cava affatto bene. La Cina, dal canto suo, sta ancora cercando di superare la crisi legata all’enorme bolla immobiliare esplosa qualche anno fa.
Come sappiamo, le bolle immobiliari e il debito correlato richiedono anni per essere assorbiti.
Anche gli ultimi interventi del governo cinese per stimolare l’economia sono solo un tentativo di navigare in una situazione complicata.
Di conseguenza, la Cina si mantiene prudente e difficilmente prende posizioni nette nelle dispute internazionali: i suoi propositi di supremazia, per ora, sono rimandati a data da destinarsi.
A proposito di supremazia, il caso di Taiwan, quella che viene definita l’isola più pericolosa del mondo, rappresenta un emblema dei limiti cinesi.
Se non riesci nemmeno a riprenderti un’isola a soli 150 chilometri di distanza, abitata da 23 milioni di “diversamente cinesi”, i tuoi propositi di dominio globale perdono credibilità e diventano pura propaganda.
L’Unione Europea, invece, è assente su quasi tutti i fronti e difficilmente rilevante in questo discorso, probabilmente più impegnata a segnarsi autogol tra una scartoffia e l’altra:
La reazione a questa distrazione americana che sto osservando sempre di più nel nostro paese è un crescente sentimento antiamericano.
Stanno spuntando una sorta di “gufi” che sperano in un indebolimento degli Stati Uniti.
Solo per citare un aneddoto, ho un amico che ogni volta mi ripete: “Vedrai, Putin ha ragione. La Cina ha già superato gli USA. I BRICS domineranno il mondo.” Fregnacce, direi, come quella che vede i BRICS creare una moneta unica tra di loro per sfidare il dollaro.
Fa fatica a funzionare l’euro in paesi relativamente vicini e che, in teoria, dovrebbero essere più simili tra loro (anche se non lo sono). Figuriamoci una moneta condivisa tra nazioni sparse per il mondo, alcune delle quali mantengono ancora rivalità molto forti tra di loro.
A riguardo capisco che Putin possa avere le sue ragioni e riconosco che i paesi occidentali possano aver contribuito a scatenare la sua (inguardabile) reazione in Ucraina ma, se dovessi scegliere tra le due parti, non avrei dubbi: meglio gli Stati Uniti che Russia o Cina, senza voler offendere quei popoli, ovviamente.
Certo, la cosa migliore sarebbe essere indipendenti e farsi i fatti propri ma in molti sembrano trascurare il fatto che l’impero russo, storicamente, ha sempre esercitato un controllo molto più opprimente sui paesi che dominava, rispetto a quanto abbiano fatto finora gli Stati Uniti con i loro “clientes“.
La realtà dell’Italia è che, essendo inserita in due organizzazioni come Unione Europea e NATO, deve seguire di fatto la linea dettata dagli Stati Uniti, che ci piaccia o meno.
Una sovranità limitata che deriva, se ci pensi, dall’aver perso malamente la Seconda Guerra Mondiale con una resa incondizionata. I soldati americani che sono stanziati nelle basi sul territorio italiano sono loro qui, non noi là, e, soprattutto, non sono qui in vacanza.
Queste sono le conseguenze di decisioni scellerate prese ai tempi del fascismo. Sì, lo so, LVI “ha fatto anche cose buone” (cit.) e i treni arrivavano in orario, ma tant’è.
Quelli che dovrebbero essere gli antagonisti degli Stati Uniti sono in questo stato mentre gli Stati Uniti, nonostante i problemi interni, restano un gradino sopra tutti.
Come impero che sta attraversando la fase di maturità, non fanno più guerre indiscriminate, ma devono recuperare la propria unità interna per poter far valere di nuovo i veri rapporti di forza.
STATI UNITI, GEOPOLITICA E FINANZA
La finanza statunitense è l’emblema di questa supremazia: Vanguard, BlackRock e altri asset manager che gestiscono trilioni di dollari in asset.
Gli ETF che hai nel tuo portafoglio ne sono una chiara evidenza.
Come scrivevo all’inizio un ETF che replica l’indice MSCI World (SWDA), quindi i titoli azionari di 23 paesi sviluppati di tutto il mondo, ha al suo interno il 70% di USA.
Ogni volta che vedo un ETF con una concentrazione del genere mi viene il mal di stomaco visto che sarei molto più per un equal weight.
Capisco però che, senza gli Stati Uniti in portafoglio, sarebbe stato difficile ottenere grandi rendimenti nel decennio scorso. Quante volte, per esempio, hai visto questo grafico?
Long USA allora?
Al momento le cose stanno così, ed è evidente anche dalla capitalizzazione di mercato delle azioni statunitensi rispetto a quella complessiva del mondo.
C’era già stato un precedente dopo la Seconda Guerra Mondiale, e gli USA erano rimasti su quel livello per venti anni abbondanti.
Non saltare però subito alle conclusioni e, soprattutto, non farti prendere dal VWCE and chill!
Questa situazione potrebbe proseguire ancora per molto tempo, ma, come sempre, in finanza non ci sono pasti gratis. Dall’altro lato della medaglia, infatti, ci sono i rischi.
A un certo punto, le aspettative incorporate nei prezzi degli asset statunitensi potrebbero diventare così elevate da rendere l’acquisto non più conveniente.
Come ha ripetuto più volte il prof. Coletti: finanza = economia / prezzi.
Quando succederà è una domanda da sfera di cristallo. Per il momento, vale ancora quanto detto da Warren Buffett qualche tempo fa:
“Never bet against America.”
CONCLUSIONI
Come investitori, dobbiamo accettare che la geopolitica influisca inevitabilmente sulle nostre decisioni. Possiamo non apprezzare il contesto attuale, ma non ha senso combattere contro i mulini a vento.
Anche se l’impero americano fosse davvero al suo apice, vale la pena ricordare che già nel terzo secolo d.C. si avvertivano segnali di declino nell’impero romano. Eppure, riuscirono a prolungarne l’esistenza per altri due secoli.
“Beware of what you want,” perché, in fin dei conti, la vita umana è breve: aspettare il declino di un impero potrebbe trasformarsi in un’attesa inutile e amara. Meglio accettare la realtà e agire di conseguenza.
Ad esempio, il motivo per cui le azioni cinesi sono così scontate rispetto a quelle statunitensi, nonostante la presenza di aziende in crescita, è fortemente legato alla geopolitica.
Oggi, gli Stati Uniti sono ancora percepiti come il porto sicuro del mondo.
Questa percezione ha conseguenze: alimenta bolle finanziarie che, prima o poi, esploderanno. Ma, nel frattempo, il mercato premia chi sa muoversi nel contesto attuale.
Il presente contenuto è ai soli fini didattici e di discussione, fai le tue ricerche prima di investire (do your own research before invest).
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